di Salvo Zappulla
Arriva sempre, per ogni essere umano, il momento di trarre un bilancio della propria vita, un resoconto degli amori, degli affetti dati e ricevuti nel corso della propria esistenza; anche quelli perduti, o invano anelati a causa della morte di un figlio. Non c’è strazio peggiore per un padre e una madre della perdita del proprio figlio. Ed è quello che racconta Giuseppe Pettinato in questo libro di poesie edito da Morrone.
E gli fa onore. Non tutti hanno il coraggio di mettere a nudo i propri sentimenti e la propria sofferenza in maniera così cruda dentro un libro. La poesia è la più alta forma di espressione letteraria, figlia dell’ispirazione ma anche dello studio. È l’arte che attesta la potenza del linguaggio, dell’espressione estetica più prossima al pensiero. Come un soffio di vento/tra nubi pallide/la tua voce risuona/ ancora/ leggera/ad accarezzarmi le guance/ e la bocca/quasi a regalarmi quel bacio/tanto desiderato/ e mai avuto.
Versi semplici eppure estremamente efficaci nella loro nudità, quasi disarmanti, che trasmettono al lettore un senso di impotenza di fronte alla complessità del mistero della vita. Siamo esseri insignificanti, coriandoli anonimi sparsi nell’immensità dell’universo. Altre pagine sono dedicate agli amici perduti, persone con cui l’autore ha condiviso gioie e dolori, una sorta di moderna Spoon River, come ha avuto modo di scrivere Simonetta Longo nella sua lucida analisi, assieme a Mario Buonofiglio, a chiusura del libro.
Storie come queste ci riportano alla nostra piccola dimensione di esseri fragili in balìa degli eventi, come fare un bagno di umiltà nelle acque gelide di un fiume. Dal più ricco al più potente degli uomini nessuno può sottrarsi alle regole della natura.. E nella sua prefazione Sebastiano Burgaretta ne fa una disamina impietosa, immergendosi negli abissi dell’anima, raccogliendo tutto il travaglio interiore e la richiesta d’aiuto del poeta per sopravvivere alla morte del figlio.